Festa di compleanno ai gonfiabili Parte 2
NEL MONDO DEI NOSTRI BIMBI
2/15/20253 min read
Eccomi di nuovo qui.
Un’altra domenica, un altro compleanno, un altro parco divertimenti con gonfiabili. Se dovessi stilare un curriculum da mamma, sotto la voce “competenze speciali” metterei: “Capace di resistere tre ore in un ambiente ad alta densità di zuccheri e decibel senza perdere la ragione”, e non è escluso che lo faro'… 😊
I miei figli, rispettivamente sette e quattro anni, hanno già lanciato le scarpe con la precisione di un giocatore di basket al tiro libero e sono svaniti nella giungla di gonfiabili. Io, come ogni volta, mi piazzo in un angolo strategico, cercando con lo sguardo i "compagni d'avventura" con cui condivido gioie e dolori della genitorialita'. La verità è che, ovunque si svolgano, la mia vita sociale raggiunge il suo culmine durante le feste di compleanno degli amichetti dei miei figli.
Dopo un’ora, il caos è ormai totale. Un gruppo di bambini si aggira confuso, cercando i propri genitori; alcuni genitori si aggirano confusi, cercando i propri figli. Un padre, dopo aver ispezionato il gonfiabile a forma di castello per almeno venti minuti, si arrende e, dopo essersi guardato furtivamente intorno, afferra il primo bambino che vede, che, presumibilmente, ha una vaga somiglianza con il suo.
Nel frattempo, una mamma ha perso di vista il suo secondogenito, decisamente troppo piccolo per potersi muovere incolume vicino alla vasca delle palline, mentre il primogenito, totalmente privo di controllo, si avventa su un vassoio di pizzette. Un altro genitore prova a rianimarsi con l’ennesimo caffè da macchinetta, che ha lo stesso sapore della disperazione.
A un tratto, vedo mio figlio lanciarsi da un gonfiabile con acrobazie degne di uno stunt-man di action movie hollywoodiano. Non so se essere fiera o spaventata, quindi opto per un atteggiamento che non sempre è consigliabile e praticabile: faccio finta di niente e spero che non si rompa nulla.
Poi c'è Leo. Dopo due ore passate a sopravvivere al caos tra urla di bambini e palloncini statici incollati ai capelli, si avvicina a me con l’aria di chi ha appena attraversato una tempesta tropicale. Mi guarda con espressione scettica e chiede: “Ma quindi… chi è la festeggiata?”.
Lo fisso per un attimo, fingendomi sconvolta, e poi scoppio a ridere.
Leo mi osserva tra l'interdetto e il divertito, poi sospira rassegnato: “Boh, l’importante è che ci sia stata la torta”. E con questa verità universale, si allontana, riprendendo il suo posto tra i reduci di quel delirio.
La realtà è che il momento torta, della festa a cui noi siamo stati invitati non ha ancora avuto luogo.
È bene fare una piccola digressione a beneficio dei non genitori: in questi luoghi di perdizione non si svolge un'unica festa, ma solitamente sette od otto contemporaneamente, e quindi parte un “Happy Birthday” con un intervallo di cinque minuti.
Quando arriva il vero momento della torta, il volume della sala raggiunge livelli da concerto metal. I bambini si avvicinano alla tavolata, spingendosi come in una ressa da saldi. Alcuni cantano “Tanti auguri”, altri ululano senza un motivo apparente. Il festeggiato (o festeggiata? Non sono più sicura) spegne le candeline in preda a una sbornia adrenalinica da compleanno.
Alla fine della festa, i bambini vengono distribuiti ai rispettivi genitori, con qualche scambio accidentale ma tutto sommato accettabile. Il padre rassegnato, alla fine, è riuscito a trovare il figlio giusto. Crediamo.
Mentre mi avvio verso l’uscita, sento qualcuno chiamarmi per nome. Il mio vero nome. Mi guardo intorno, confusa. Per un attimo non rispondo. Sono abituata a “mamma di Ale” o “mamma di Nicco”. Essere chiamata col mio nome mi spiazza. Chi sono io, senza un bambino attaccato alla gamba?
“Scusami, credo che quella sia la giacca di Andrea!” – dice una mamma molto educatamente, indicando mio figlio. Mi giro e noto Ale, strizzato in un piumino di due taglie più piccolo: sembra l’omino Michelin con le braccia imbalsamate. Ebbene sì, succede anche questo: a volte la rimbambita di turno sono io. Mi scuso e restituisco velocemente il piumino, controllando ripetutamente che quello preso stavolta sia quello corretto.
Uscendo, i miei figli mi guardano con occhi speranzosi: “Mamma, possiamo tornare qui domani?”